mercoledì 2 settembre 2020

La Fioritura -XLVIII-

 Come voto ai rispettivi celesti, Xish versò il sangue sul suo maschio durante la luna nuova e Tenqar fece altrettanto all'alba, infine attesero. I simulacri inspirarono il primo fiato al tramonto successivo e quando aprirono gli occhi, pur vedendo le compagne già in estasi per loro, non riuscirono a comprendere quel sentimento, né tantomeno a condividerlo. Passò molto tempo prima che le femmine li introducessero all'esistenza e spiegassero che il fine della loro era l'accoppiamento, ma i maschi, nonostante fossero tanto diversi quanto lo è la foglia dalla pietra, arrivarono ambedue al rifiuto del ruolo che gli era stato imposto. Al conseguente insistere delle compagne, presero la decisione di allontanarsi da loro e le avvertirono che se fossero stati seguiti, non sarebbero più tornati. Lasciarono così le femmine al tormento e al rammarico, senza curarsene, e intrapresero i gelidi sentieri lì dove la vita è solo di passaggio, nei corpi bui che col sole alle spalle coprono tutto il mondo d'ombra. Ai piedi delle Montagne Nere si divisero, prendendo ciascuno la direzione più congeniale alla propria natura: il maschio di Xish si inerpicò lungo un passo stretto e ostruito di neve, confidando nella presenza di prede e nella conservazione delle loro impronte; il maschio di Tenqar invece andò per un crinale spazioso e poco scosceso, ricco di rocce e arbusti e alberi da cui ricavare il necessario alla sopravvivenza.

Il maschio di Xish era agile, i suoi piedi leggeri non lasciavano segni, e mosso dalla fame presto trovò una tana perché i suoi occhi sapevano dove guardare. Dopo il primo giorno di esilio, aveva cacciato due conigli e li aveva mangiati crudi. Il secondo giorno il freddo si fece più pungente, la caccia più lenta, e alla fine riuscì a catturare soltanto una volpe. Con le pellicce si coprì la gola e le spalle, e dopo essersi riparato dietro un costone di roccia scura, finalmente riposò. Il terzo giorno inseguì uno stambecco su per la parete del monte, ma l'animale a ogni trappola si faceva più astuto, e all'arrivo del buio e del gelo ululante nemmeno le pietre appuntite del cacciatore, lanciate con implacabile perizia, riuscirono a offendergli il cranio, duro in omaggio alla pelle di sua madre la montagna, come il nero corvo alla notte. Il quarto giorno il maschio di Xish si trascinò affamato dove le tracce lo avevano condotto, all'interno di una caverna dove, se il destino gli avesse negato il pasto, avrebbe però trovato sicuro ristoro dal freddo. Non trovò né l'uno né l'altro, perché la gola della caverna emise minaccia nel momento in cui il piede dell'invasore aveva varcato l'entrata, e quella minaccia si fece carne nell'orso partorito dalla tenebra. Esso era grosso oltre ogni misura, tanto da non riuscire a muoversi se non strisciando, perché l'antro che con la propria mole stava strozzando non era la sua tana; infatti il corpo maciullato dello stambecco gli penzolava dalle fauci, e al vederlo il cuore del maschio di Xish si riempì di gelosia. Ingaggiò dunque con la creatura una lotta feroce, cieco di rabbia, ma lo squilibrio di forza lo portò alla fuga, lasciandosi dietro una scia di sangue e di vergogna. Ripercorse i suoi passi e discese a più mite altezza, ché il vespro incombeva e il vento rinforzava precipitandosi dalla vetta della montagna, una volta appiglio della luce di Rasseth e ora covo di freddo e morte. Al sorgere del quinto giorno, uno strano malessere svegliò il maschio di Xish; non erano le ferite o il ricordo dell'orso a tormentarlo, ma una sensazione nuova e spiacevole, tanto un capovolgimento violento della sua natura quanto un'integrazione della stessa: sapeva di essere osservato. Gli parve persino di vederli, quegli occhi, nel buio oltre la neve. Trasfigurato da cacciatore in preda, scese allora la montagna per ricongiungersi alle amate foreste, ma gli sguardi si moltiplicarono intorno a lui fino a farlo bestia in un recinto. Nel momento in cui la luce di X'En penetrò la foschia, realizzò che gli anelli di quella catena d'oppressione erano lupi grigi e neri, maschi e femmine, giovani e anziani, che lo fissavano placidi, senza mostrare i denti o segni d'appetito, tutti eccetto uno: si confondeva col mortale pallore della neve un lupo bianco che era alla testa degli altri, ma diversamente da loro non fissava l'intruso della montagna, perché i suoi occhi erano chiusi e rivoli di sangue colavano giù dalle palpebre. Nella testa del maschio di Xish si fece strada l'idea di seguirlo, cui cercò invano di resistere; i piedi solcarono in indipendenza il sentiero che la creatura aveva iniziato a tracciare innanzi, che lo portò di nuovo su per il gelido corpo della colossale roccia nera, attraverso il passo in cui lo stambecco era stato inseguito, poi sulla scia di sangue che stisciava fuori dalla grotta dell'orso. Svoltarono dietro una pietra alta e filiforme e da lì intrapresero una via in salita, posata sulle nubi che nascondevano agli occhi la vetta, tanto in alto dalla terra che per il maschio di Xish ogni respiro era difficile quanto il litigarsi la stessa preda con un orso. Quando infine arrivarono dove il lupo voleva, esso divenne feroce e attaccò il compagno di viaggio, che ebbe molta difficoltà a difendersi come sapeva, ché l'aria era rarefatta e lo spazio per muoversi infimo. Venne morso alla gamba, alla mano, al busto, e notò che le fauci del lupo si serravano quel tanto che bastava a provocare ferite lievi, quasi fosse più interessato al sapore del sangue che alla carne. Pur non capendo come fosse possibile per un animale cieco agire con tanta consapevolezza, lo ferì a sua volta con le mani nude, ma a ogni colpo inferto percepì la natura del predatore cambiare: non soltanto i guaiti di dolore si facevano sempre meno animali e sempre più simili a quelli di Xish, ma anche le apparenze piegarono le forme spigolose del lupo rendendole più aggraziate. A un certo punto, il maschio di Xish si accorse di stare lottando con una creatura pallida che aveva smesso di resistere, e anzi gli rivolgeva sorrisi e altre astute provocazioni. Il combattimento si fece velocemente amplesso e così, finalmente, il destino del maschio di Xish fu compiuto.


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