mercoledì 16 settembre 2020

La Fioritura -L-

 Nel giorno in cui fece ritorno, il maschio di Xish era ormai libero dalla tirannia del suo ruolo, perché su di esso aveva conquistato il controllo, e dalle alte spalle un manto di pelliccia si accasciava a terra, trascinando sulla distanza percorsa il sangue ancora fresco. Il prezioso trofeo da più parti era composto: a mo' di collare era allacciato il candore di una volpe bianca, che aveva le piccole fauci schiuse a mostrare i denti selvaggi, il naso ancora umido e le orbite vuote; sulle spalle erano adagiati due conigli acefali, con le zampe a penzolare esanimi verso il petto e le scapole; il resto del manto, che era la gran parte, aveva il pelo ispido dei lupi affrontati sulla cima della montagna, e il nero e il grigio si affollavano uno sull'altro senza requie, quasi le bestie avessero iniziato a lottare per contendersi il nuovo territorio. Nel vedere il suo maschio sì ricco e forte, Xish se ne innamorò e sfiorando il suo addome gli disse che lo voleva. Allora il maschio di Xish rispose che c'era un posto dove voleva condurla, là dove il loro potere sarebbe stato celebrato e nutrito dai cicli naturali, e solo in quel luogo l'avrebbe presa. Così partirono per la meta sconosciuta, da qualche parte dietro l'orizzonte a oriente, lasciando per sempre le tanto sprezzate montagne, che erano scuro confine del mondo a ponente, ma all'ombra delle quali si erano fatti signori.

Attraversarono la terra vedendola presto mutare nei venti e nei colori, ma mai si concessero un saggio di quel cambiamento, che pur esercitava un irresistibile richiamo, perché la meta aveva priorità sul viaggio. Una notte che si erano fermati per godere dei frutti della caccia al chiaro di luna, Xish iniziò a soffrire lo spazio aperto della pianura in cui si trovavano e desiderando che attorno a lei spuntasse una foresta di alberi per farla sentire a casa, sui superbi lineamenti calò l'ombra della tristezza. Accortosi del malumore della compagna, il maschio la coprì col manto di pelliccia, che era incarnazione del suo potere, e benché il problema non fosse il freddo, o l'invidia, questo bastò a ripristinare la bellezza di Xish, scacciandone la tenebra. Il giorno dopo giunsero sulla riva di un fiume, vasto e turbolento ostacolo alla terra che desideravano raggiungere, e il dubbio su come attraversarlo li impietrì. Dopo numerosi tentativi, in cui la corrente quasi li trascinò lontano l'uno dall'altra, si arresero alla pochezza degli strumenti con cui la natura li aveva armati per simili imprese, e nel riprendere il cammino lungo la riva per scoprire se ci fosse un guado, videro che una piccola creatura nera li stava fissando. Il gatto era seduto sulle zampe posteriori e i suoi occhi trasudavano intelligenza. Alla domanda di Xish su chi fosse, egli rispose cantando in una lingua straniera ma comprensibile: "Perché non chiedi aiuto al tuo sangue?"

Al che, alzata la testa e disteso il collo per ergersi ancora più al di sopra della minuta creatura, Xish rispose sprezzante "Proprio perché è il mio sangue, lui è potente in molte vie, ma come me non può attraversare questo fiume."

Il gatto tacque un momento, e quel silenzio pesò come pietra su Xish e il suo maschio, poi cantò che il sangue versato nell'acqua si era già fatto guado. Come goccia di rugiada che dalla foglia precipita nella pozza e rompe la quiete della stagnazione, allo stesso modo le parole appena udite invasero la mente di Xish, mutandone la confusione in consapevolezza. Si avvicinò di nuovo alla riva e con voce ferma evocò la parola cui l'epifania l'aveva condotta: Awyn.

Dalle pieghe fluide dell'acqua emerse lo sguardo vivace della sorella più minuta, e al suo apparire la corrente si placò, addormentandosi. Tale era la felicità di rivedere Xish e di conoscere il suo maschio, che Awyn la espresse guidando i pesci del fiume in una danza rituale, per ringraziare la sorella di averle chiesto aiuto e per propiziare la prosecuzione del viaggio. Poi sollevò le piccole mani da sotto l'acqua e quando Xish e il suo maschio le afferrarono, la sua gioia li contagiò. Nell'attimo in cui quel sentimento esaurì la sua carica, lasciando al suo posto un tiepido tepore di fiducia, i due pellegrini si accorsero di essere già dall'altra parte del fiume e che la terra attorno a loro era cambiata, diventando grassa e fertile, affollata di piante scure dalle foglie ampie e dal profumo assai intenso. Il gatto non c'era più, soltanto Awyn era rimasta con loro e la sua risata irradiò soddisfazione. Disse che era tempo anche per lei di riprendere il cammino, ché vi erano cascate da scavare, fiumi da tracciare e vecchi precipizi polverosi, retaggi della guerra di Shintara contro di Xenwa, da riempire per farne limpidi laghi. Questo disse, ma Xish e il suo maschio non la compresero, limitandosi a ritrarre le mani e a ringraziarla in silenzio mentre il suo sorriso spariva dietro le correnti di nuovo furiose del fiume. Appena si volsero per abbracciare con gli occhi la nuova terra, la meta del loro viaggio si mostrò nella sua imponenza: l'albero dai fiori rosa svettava cupo e torto da dietro l'orizzonte, e la folla di rami che spingeva in cielo sembrava da lontano una nube carica di pioggia e lampi. Xish e il suo maschio lo raggiunsero dopo una lunga percorrenza, stupendendosi di quanto fosse alto man mano che lo avvicinavano, e una volta calpestata la terra che a malapena riusciva a coprire le radici ingombranti, Xish si tolse di dosso il manto e lo porse al suo lui, spiegandogli che ciò che doveva essere fatto necessitava di un Re. Allora il maschio prese il manto e coprì di nuovo le spalle della compagna, rispondendole che ciò che doveva essere fatto non voleva farlo con la pelliccia, ma con lei. A quelle parole l'enorme tronco dell'albero schiuse un'entrata e i due amanti subito la varcarono, abbracciati in un'unione intensa che continuò anche dopo che il tronco si richiuse, e per molto altro tempo ancora. Ciò avvenne in autunno.

Al termine dell'inverno, i fiori rosa iniziarono a sbocciare timidi dai rami scuri, e poi eruppero gloriosi a primavera. Accanto a essi, nuove escrescenze si affacciarono alla vita e all'alba dell'estate erano già cresciuti diventando frutti maturi, grandi a sufficienza da non far sfigurare l'albero cui erano aggrappati. Quando la stagione calda arrivò al suo apice, i frutti caddero a terra e subito si schiusero, rivelando il prodigio in essi contenuto: i figli di Xish e del suo maschio si alzarono da terra, alti e snelli come i loro genitori, scuri come corteccia e tutti dotati, sia i maschi che le femmine, di una cascata di folti capelli neri. Questa fu l'alba del popolo dei Xish.

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