mercoledì 30 settembre 2020

La Fioritura -LII-

 Oltre i colonnati dove neanche il gelo penetrava, sul trono di pietra era assisa Vlada, cui l'eterno eco del più infimo rumore rimarcava la sospirata solitudine. Corta però fu la quiete, ché il frutto dei suoi inganni già le era cresciuto in grembo e ruggendo come bestia affamata si apprestava alla vita. Dentro la Pallida erano due figli, perché due i semi da cui discendevano, blanditi e poi separati dal potere della madre. Nel giorno della natività, straziando i lombi che li avevano nutriti si fecero strada all'esterno, rovesciandosi sul freddo pavimento della sala buia, dove i loro pianti si confusero. Il maschio aveva incarnato niveo e occhi color del sangue, e dello stesso colore i radi capelli; diversa era invece la femmina, scura come il padre, ma dotata di una cuffia di albedo lunare, e il contrasto tra i due toni era tanto marcato da risultare doloroso alla vista. Prendendoli tra le braccia, Vlada respirò a fondo il profumo della loro pelle e della loro carne, maturando il destino al quale li avrebbe condannati. Chiamò il figlio Iskravul e la figlia Zernavul, poi scese dalla montagna e seguendo il sentiero d'acqua, che dal ruscello conduceva al cuore del bosco, li abbandonò alla pozza circolare che era opera del maschio di Tenqar. Senza voltarsi riprese la via del suo palazzo e del suo trono, e lì restando per molto tempo immobile, serrò la presa della volontà attorno al suo sangue e lo costrinse a operare ciò che l'ambizione aveva elaborato. Tali erano le risorse versate nello sforzo che dalla testa iniziarono a crescere vermigli capelli, la cui fioritura diede violento calore alla spenta sala del trono; attecchirono sulla pietra e penetrarono nella roccia, poi continuarono a crescere. Quando l'atto arrivò a maturazione, la Pallida partorì l'immonda prima partenogenesi, bassa incarnazione della guerra che con la sua nascita veniva dichiarata ai Cinque Codici. La creatura non aveva un genere, ma una confusa pluralità di essi, sparsa come malerba su un corpo spezzato e sanguinante; da uno degli orifizi aperti come ferite strisciavano lamenti di fastidio e da una delle sette pupille, gibbosa anziché circolare, effluvi d'odio. Sua madre la guardò con l'intensità della serpe nei confronti del roditore, la prese in braccio come tra sinuose spire e dopo un momento di studio, aperta la bocca addentò la carne immonda e insensibile al dolore provocato la divorò viva. Riavute le risorse che le appartenevano, Vlada le convogliò di nuovo nel medesimo sforzo, prendendosi però più tempo per riuscire dove prima aveva fallito. Allora il suo grembo diede alla luce una bambina che come lei era pallida e simmetrica nelle forme, ma nei lineamenti la innata grazia veniva adombrata dalla presenza di un astio sottile e perciò pericoloso. Vlada la chiamò Nejnavezda, "l'odiosa", e la lasciò lì dove si trovava a patire fame e abbandono, perché voleva darle una sorella. Concentrò dunque il suo potere nell'idea del contatto, che più di tutto il resto le suscitava viva repulsione, e per questo la secondogenita nacque con le mani già protese alla carne più vicina, senza riuscire a distinguere la fame dall'affetto fisico. Vlada le riservò la stessa fine della prima partenogenesi, poi, senza attendere che il sangue sulla bocca si seccasse, dalla carne divorata venne ricomposto il corpo e dal corpo l'impronta sanguigna. Partorita la seconda figlia, per nome e titolo le diede un ordine: "Smotra" le disse, "guarda!", e seguendo la direzione in cui l'indice della madre puntava, la piccola vide Nejnavezda. Allora Smotra si prese cura della sorella come le era stato intimato e quella fu la sua sacra consegna, il Codice prima dei Codici.

Consolata dai risultati ottenuti, Vlada venne però turbata dal sospetto di aver imboccato un sentiero senza ritorno e che la sfrenata ambizione, anziché il giudizio, fosse ciò che la stava trascinando in avanti, mentre aveva fino a quel momento creduto di condurla. Scissa dal dilemma, perse la presa sul concepimento della terzogenita mentre esso avveniva e quando la mise al mondo, subito se ne accorse: sotto le macchie di sangue la piccola mostrava fattezze più dure, asimmetria tra arti e una coesistenza fra sessi maschile e femminile. Afferratala dal piccolo collo, Vlada la avvicinò ai denti ancora lucidi di sangue e fece per morderla, ma quando la creatura la guardò, non riuscì a far altro che esitare. In una vampa d'ira la precipitò a terra, dov'erano le altre sorelle e la chiamò Vlatzkin, "io esito".

Per recuperare l'equilibrio perduto, Vlada diede i natali alla quartogenita: la bambina era viva ma non si muoveva, né mostrava segni dei forti sentimenti di chi all'esistenza è nuovo. Si limitava a osservare la madre e le sorelle tenendosi equidistante da tutte loro, e in special modo da Vlatzkin. Per questa ragione fu insignita del nome Poryazda, che nella lingua del sangue è "non muoverti".

Così il ciclo ebbe nuovo respiro: ogni esemplare imperfetto era divorato per incubarne uno che Vlada avrebbe accettato, e il processo produsse Rystiva, unica a poter essere vista dalle sue sorelle ma non dalla madre, e la gemella Mmstiva, di cui al contrario soltanto Vlada conosceva l'aspetto. La settima fu Monocernova, più bella di tutte le altre figlie e finanche della madre, che sembrava assorbire il suo splendore da tutto ciò che la circondava, rendendola attraente tra tutte le razze di parassiti.

Venne poi il momento dell'ottavo parto, una bambina storta e dalle pupille gibbose che conobbe la luce rossa della sala masticando con gioia brandelli di utero materno. Lei fu Sarok, "la fine", figlia che come Vlatzkin condusse la madre a una catarsi; Vlada accettò di non poter più riprodursi e le sue carni si arresero sullo schienale di pietra, donandole il sonno.


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