mercoledì 22 luglio 2020

La Semina -XLII-

L'incontro tra Mamath e il mare avvenne perché una aveva udito il richiamo dell'altro, trovandolo quando la reciproca curiosità li aveva attratti sulla costa come un lupo presso l'odore del sangue, o un grave che cade nel vuoto tanto a lungo quanto è la distanza che lo separa dalla terra. Mamath calcò i piedi nella sabbia calda traendone un sollievo fugace, giacché i suoi occhi e il suo cuore si erano aggrappati alla visione della riva e alla pace che ne era emanazione. Quando ogni attrazione era diretta dal Coro al fine di collidere, la loro invece trovava ragione nella fusione, sicché essendo ormai immersa fino al bacino, Mamath espresse il desiderio di diventare acqua lei stessa. Invero sarebbe successo, se solo il pensiero si fosse tradotto nel canto dràna che stava imparando a padroneggiare, ma qualcosa le aveva bloccato le parole davanti ai cancelli delle labbra, che anziché schiudersi per lasciarle uscire, erano rimasti serrati: un inusuale riflesso sull'acqua l'aveva persuasa a guardare più attentamente, e nel momento in cui le increspature si erano distese e l'acqua si era fatta limpida, seppe che quel riflesso incarnava la sua immagine. Grazie a esso guardò dunque meglio l'aspetto della piaga sul suo petto e conobbe l'asimmetria data dalla mancanza di un seno, che scoprì di apprezzare; finalmente diede anche un'immagine a ciò che solo il tatto delle dita aveva esplorato, vedendo l'ovale del viso e della testa, il taglio degli occhi e la consistenza delle labbra, la forma di orecchie e naso.
Oltre a questo, in Mamath maturò la coscienza del ruolo da lei occupato nel tempo e nello spazio, e d'un tratto il desiderio di diventare acqua si dissolse. Allora il mare tornò a incresparsi e il cielo venne coperto da nubi scure, si alzò il vento in una folata tanto violenta quanto breve, quasi fosse stata solo araldo dell'arrivo di una voce ancora più forte. Da quel momento parlò infatti Tlaotlican col rombo delle onde, dicendo a Mamath che non era stata l'unica a cercare risposte nell'acqua, ma era senza dubbio la prima a trovarle. Quando altri avevano ricavato solo inganno, paura e odio, lei aveva attinto saggezza e perciò Tlaotlican le corrispose una ricompensa: i suoi discendenti più puri avrebbero ricevuto dall'acqua il resto della conoscenza, che a lei invece veniva preclusa perché il suo sangue era lordato e corrotto dall'odiosa impronta dràna. Comprendendo non solo l'equilibrio della sentenza, ma anche una verità che Ulm'andher le aveva taciuto, Mamath ringraziò l'Eterno e giunse le mani per raccogliere l'acqua nei palmi. Per quanto ci provasse, però, l'acqua trovava sempre un modo per scivolarle via dalle dita o dagli anfratti della pelle, così si risolse a cercare qualcos'altro che fosse utile a quello scopo; provò prima a contenerla in una conchiglia, poi dentro un ramoscello cavo e infine ne trattenne in bocca un gran sorso, ma realizzando di non poter tornare alle Montagne Nere in quella condizione, si arrese a sputarla subito.
Sconfitta da un problema cui non riusciva a dare soluzione, e circondata dal freddo alito della notte incipiente, Mamath ripiegò lontano dalla spiaggia, nella macchia di pini sotto le cui fronde il riposo fu trovato e consumato tranquillamente. Al primo chiarore del giorno nuovo, venne attratta dal grugnito di una presenza che si muoveva poco distante da lei, calpestando senza grazia il letto di pigne e aghi rinsecchiti caduti dai loro alberi. Dopo averlo cercato per sfogare la sua natura curiosa, Mamath scoprì dunque il maiale, una creatura che non aveva mai visto prima e che con una certa repulsione osservò grufolare alla ricerca di radici, funghi e altro nutrimento. Stando attenta a non allertarlo, non fidandosi della copertura già offerta dal gran chiasso che l'animale alzava a ogni passo, lo seguì tra gli alberi finché non lo vide fermarsi all'improvviso per urinare. Senza affatto reprimere la curiosità su come fosse possibile produrre acqua da un corpo che acqua non è, Mamath maturò infine il desiderio, poi divenuta voglia morbosa, di scoprire il funzionamento di quel processo. Usando il canto dràna chiamò il maiale e quello, che non aveva mai visto un bipede senza piume e senza pelo, per di più con una mammella soltanto, insomma un essere di fattezze così singolari, la fissò in silenzio. Ci volle del tempo affinché una guadagnasse la fiducia dell'altro, ma quando ciò avvenne, il maiale confidò a Mamath di produrre acqua quando sentiva di doverlo fare. Alla rimostranze di lei sul fatto che niente potesse nascere dal nulla, l'animale in un primo momento la guardò intensamente negli occhi, poi disse di aver fame e senza dire altro si allontanò. Insoddisfatta e altresì umiliata, Mamath raggiunse la sua prima epifania morale realizzando che quel maiale le avrebbe dato ciò che cercava, in una maniera o nell'altra.

Nessun commento:

Posta un commento