mercoledì 8 luglio 2020

La Semina -XL-

Sotto un sole freddo e inerme, Ulm'andher lasciò a Mamath il tempo per giocare con la voce appena acquisita; la vide ridere del proprio canto ancora gracido e sgraziato, esultare nell'esercizio di una corretta pronuncia e poi meravigliarsi della distorsione che quelle parole imponevano alla realtà. Vedendola felice, si immerse nel terreno come nelle acque di un fiume e Mamath, cui la padronanza della lingua dràna suggeriva che sovvertire e trasmutare la materia fosse nell'ordine delle cose, fece altrettanto. Dopo essersi fatta scivolare a fondo sotto la terra, nuotò col suo ospite nello spazio vacuo e fu da lui condotta nelle profondità dell'isola. Emersero dal suolo liquido all'interno di un uovo di tenebra, e salendo sullo strato di roccia opalescente che era l'unico appiglio fisico per i loro corpi, notarono che esso altro non era che il bordo di un precipizio abissale e che veniva corroso, nel remoto fondo della sua bocca, da braci silenziose e pigre. Ulm'andher estese il braccio e cantò che ciò che agli occhi ingenui di Mamath sembravano fiammelle sul punto di estinguersi nel buio, in realtà erano dràna cui lo stupro perpetrato da un re crudele aveva imposto il fuoco. Erano gli Us'fulum, ombre fumose e penitenti che obbedendo al desiderio del loro signore Rasseth si erano opposte al primo assalto di Shintara alle Montagne Nere.
Mamath buttò un'occhiata giù dal precipizio e sulla vertigine dell'altezza vinse la mortificazione per l'apatia di quelle creature, nate dalla gloria del caos e ora a malapena coscienti di se stesse. Chiese allora se ci fosse un rimedio e Ulm'andher rispose che la Materia imponeva solamente l'acqua per l'estinzione del fuoco; ma affinché il rito non portasse alla morte dei dràna, cantò, l'acqua doveva essere attinta dal vero corpo di Tlaotlican, quel mare che abbraccia da ogni parte Ama Nundra Mun e con lei in eterno danza. Quando Mamath chiese perché non fosse ancora andato a prenderla, Ulm'andher le cantò la propria storia.
Nato dalla volontà del Coro di restituire ad Ama Nundra Mun i figli che aveva perduto, in forma d'ombra si era levato dalla carcassa di una vipera che aveva fatto la muta attorcigliata a un ramo di frassino, dove i lapilli di X'En l'avevano colta. Insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle aveva assistito all'atto di ribellione di Indh nei confronti degli Eterni, subendone le conseguenze quando la Caduta si era rovesciata sul mondo. Prima che Shintara diventasse Ar Tlanerva, l'aveva trovata sconfitta nel deserto e aiutata a rialzarsi; ma l'astuto inganno di Indh, cantò, l'aveva trasformata da feroce alleata a gelida nemica e in lei ogni germoglio di fiducia era ormai appassito. Questa era la causa per cui Ulm'andher non poteva uscire da Moa, essendo quella una dimensione dell'essere che trascendeva il dominio dei Cinque Codici di Ar Tlanèrva, limitati ad Ama Nundra Mun e al suo tessuto di catene naturali. Conosciuta questa storia, morbida scivolò una lacrima sul viso di Mamath, e toccandole il mento come apice di una corsa di dolore, da lì cadde nell'abisso degli Us'fulum, che insensibili alla sua fragile bellezza ben presto la dimenticarono. Fu allora che imponendosi fra il pensiero e l'azione di Mamath, Ulm'andher rispose alla domanda che lei non fece in tempo a porgli e le cantò che non c'era niente di cui dovesse preoccuparsi o intristirsi, perché le cose si erano già risolte, anche se lei non poteva ancora vederlo. Nello sforzo di capire quel concetto, come tentando di strappare un frutto ancora troppo acerbo al suo ramo, Mamath precipitò nella veglia e si ridestò ancora una volta dietro al cespuglio di bacche. Pose le dita sulla cicatrice ormai risanata e al sentirne la brutalità, un sorriso leggero nacque sul volto soave, perché per lei l'esperienza era assai più preziosa della vanità. Alzò dunque lo sguardo: il sole era alto fra i rami della foresta e uno dei suoi raggi indicò la via a oriente; Mamath la intraprese senza pensarci, giacché in quella direzione percepiva l'odore di Tlaotlican.

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