mercoledì 14 ottobre 2020

La Fioritura -LIV-

 Pur avendo da poco iniziato il viaggio insieme, Nilqa e Ulm'rahktan furono presto soffocati dalla ricchezza che il corpo della montagna ospitava, e che come essa traeva bellezza dalla sua natura immobile. Dapprima, siccome erano ancora alti, passarono tra due feritoie, poste agli opposti lati della scala, che scambiandosi aliti di vento dall'esterno sembravano produrre bassi bisbigli di segretezza. Nilqa cercò di carpirne i segreti, ma per quanto si sforzasse non era capace di tradurre ciò che sentiva, e dunque pur ammirando la perfetta casualità che aveva dato i natali a quel fenomeno, maledisse la volontà che aveva prodotto la luce tenendo all'ombra chi avesse cercato di carpirla. Questo lo fece ad alta voce, lamentandosi col suo silenzioso compagno di viaggio; Ulm'rahktan dal canto suo pensò che soltanto gli esseri incapaci di udire il Coro vedessero caso e volontà non soltanto uniti nel concetto, ma finanche dipendenti l'uno dall'altra, e provò pena per quella sofferenza.

La scala li condusse poi per un largo antro che assorbiva ogni rumore e in cambio dava ineluttabilità, senso di fine, come bocca di feroce creatura. Eppure, sebbene fossero arrivati assai lontani dalla sommità del percorso, dove la luce emanata dal sole di metallo andava spegnendosi, ogni forma aveva superficie visibile e angoli ben delineati. Nilqa ne fu contento, perché la vista gli era debole e i piedi malfermi, ma nell'attimo in cui l'equilibrio mancò strattonandolo verso il buio lato della scala, la mano si poggiò su una parete che fino a quel momento aveva creduto essere il vuoto. Ulm'rahktan notò la sua meraviglia e gli disse che un giorno i suoi discendenti avrebbero lavorato quel materiale, e che ciò li avrebbe arricchiti ed elevati; ma Nilqa capì di non poter aspettare, ché la scoperta doveva essergli subito assecondata e il possesso garantito. Allora Ulm'rahktan lo ammansì rivelandogli che quanto aveva bramato fino a quel momento, dal sole di metallo alle feritoie sussurranti, finanche alla scala declinante al misterioso fondale, erano artefatti il cui creatore giaceva al termine del viaggio. Rinfrancato dalla lieta novella, perché assai più preziosa dei tesori stessi, Nilqa proseguì la discesa senza altra rimostranza proferire, pur lanciando rade occhiate al sole di metallo, come un viaggiatore alla stella di casa, e tenendo la mano nodosa sulla parete che costeggiava la scala, quasi a sincerarsi che non fosse frutto di un'illusione.
Giù per la gola della montagna arrivarono ai suoi tetri intestini, dove il lembo di luce loro anfitrione spirò, lasciando al suo posto l'eco di un rombo gorgogliante e soffocato. Nello sconforto della cecità, Nilqa pretese di sapere da Ulm'rahktan dove si trovassero e cosa fosse quel suono. Essendo incarnazione della notte, il gatto non condivideva il disagio del suo compagno per la tenebra, e disse "C'è un fiume che scorre dietro la roccia e ciò che tu senti è il suo respiro. Serve a condurti dal suo creatore."
Placato il fuoco del tormento, il vecchio però ebbe a fargli notare che il suono non era utile a camminare nel buio, tanto più su una scala.
"Dunque, dopo aver sacrificato la tua giovinezza, il tuo vigore e la tua grazia, camminare al buio ti sembra spaventoso?"
Così rispose Ulm'rahktan e l'altro con saggezza ingoiò la bile. Tenendo le orecchie ben tese al respiro del fiume, discesero la scala senza sapere se all'esterno fosse giorno o notte, senza intuire se gli alberi avessero iniziato a fiorire o ad appassire, perché lì dov'erano tutto era sospeso. Ogni cosa era cristallizzata nella sua propria assenza, eccetto che il suono del fiume, che stava iniziando ad affievolirsi; e tanto meno era ghermito dalle orecchie, quanto più ai viaggiatori si manifestava la fine della scala. Era un pezzo di terra circolare abbracciato dal vuoto, e in esso iniziavano ad affollarsi alte spighe color del sole. Senza sapere se fossero esse stesse fonte di luce, o la traessero da un misterioso dove, Nilqa scoprì che il solo ammirarle aveva lenito i dolori del viaggio e della sua infausta condizione. Poi vide che tra le spighe si aggirava qualcuno, bianco come la neve e dai capelli di un rosso inconfondibile. Subito lo chiamò "Figlio di Vlada!" ed egli si girò, in attesa. Quando Nilqa lo raggiunse e potè guardarlo meglio, vide che anche i suoi occhi erano pregni del color del sangue e ne fu intimidito.
"Invero sono Iskravul, figlio di Vlada"
Il vecchio si profuse in un saluto rispettoso e si presentò come "Figlio di Tenqar, Uno dei sette primogeniti", ma Iskravul non ne fu colpito e disse solamente "Tu sei colui il quale ha camminato sui capelli di mia sorella Zernavul. Gli altri titoli non mi interessano"
Nilqa guardò Ulm'rahktan, fino a quel momento silente e ignorato dal figlio di Vlada, e pretese di sapere come fosse stato possibile creare il sole di metallo, di cosa fosse composta la parete che lo aveva salvato dalla caduta e che cosa fossero quelle spighe luminose in cui erano immersi. Tutto questo voleva conoscere, ma Iskravul gli guardò a fondo negli occhi stanchi e annuì tra sé e sé, trattenendo nel silenzio valutazioni molto severe. Poi rispose.
"Io e te condividiamo un'ascendenza, giacché sono tuo fratello per parte di padre. Quello che io posso creare, tu e i tuoi discendenti potrete farlo con altrettanta perizia"
Nilqa assorbì la rivelazione come acqua che ingloba un sasso in essa caduto: dopo un'increspatura leggera, figlia della sorpresa, la sua ambizione tornò a equilibrarsi prendendo il sopravvento su quanto era rimasto degli altri sentimenti. "Dimmelo, Iskravul"
Il figlio di Vlada si avvicinò al vecchio col suo corpo vigoroso, svettando sulla carne rovinata del suo ospite e nelle iridi sanguigne il risentimento guizzò come scintilla. "Di tutte le cose che chiedi, solo una te ne darò, perché sei mio fratello. Ma essa sia anche il prezzo da pagare affinché io non ti veda mai più, quindi decidi con attenzione la tua prossima richiesta"
Nilqa non ebbe alcun dubbio e chiese chiaramente "Col metallo che io desidero, forgiami una pletora di schiavi obbedienti, perché il metallo da solo può cambiare padrone, ma essi non lo faranno"
Sentita la richiesta, né Ulm'rahktan né Iskravul mostrarono sorpresa alcuna, ma anche allora non si scambiarono sguardi o verbo. Le spighe oscillarono piano, come obbedendo al sospiro che uscì dalle labbra del figlio di Vlada.
"E sia."

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