mercoledì 19 agosto 2020

La Fioritura -XLVI-

 Compiuta che fu la Semina, i due giudici tornarono ciascuno alle proprie preoccupazioni -per quante ne potessero soffrire esseri come loro-, ciascuno ai misteri della propria esistenza, evitando nel farlo di rivolgersi sguardo o altro strumento di comunicazione, perché se l'avessero fatto avrebbero rivelato l'estrema amarezza che l'aveva colti dopo il verdetto. Venuti da alleati, se ne andarono divisi, uno adducendo in silenzio la colpa all'altro; non potevano e in special modo non volevano considerare che nel loro agire ci fosse stato difetto, benché qualcosa, con insistenza, glielo suggerisse "da dentro".

Così, molto tempo dopo che Ar Tlanèrva e Indh lasciarono quel tribunale, attorno alla pozza di sangue fiorì la vita: prima l'erba e poi i fragili germogli, alberi di ogni seme crebbero a fare ombra agli animali che sopra e sotto le fronde iniziavano a raggrupparsi. Altro tempo passò prima che la terra drenasse il sangue e se ne nutrisse, con lentezza e pazienza, finché il volto di nuovo fertile di Ama Nundra Mun non fu più succube delle stagioni, ma loro compagno. Man mano che questo processo si perfezionava, la pozza diveniva più sottile e nell'abbassarsi rivelò sul suo fondo l'esistenza di quattro corpi levigati e glabri; per quanto in principio sembrassero identici, più il sangue si asciugava, più si acuivano le differenze nelle dimensioni e nel colore, seppure la forma restasse immutata in ciascuno dei quattro esemplari. Quando ogni patina si dissolse e alla luce del giorno essi furono offerti in completezza, come colti dal medesimo spasmo si mossero in sincronia; dacché erano rannicchiati, prigionieri del sonno della gestazione, si alzarono in piedi e stiracchiarono gli arti oberati dal torpore, senza emettere alcun suono o spostarsi dal punto da cui si erano levati. Nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, fu come se avessero guardato in uno specchio d'acqua, giacché avevano tutte i lineamenti eterni di Mamath.

La più alta delle quattro aveva corpo asciutto, scuro come il tronco di un albero, e fu la prima a parlare. Disse "Xish" e quello divenne il suo nome.

La più bassa ed esile guardò le altre con la meraviglia negli occhi e disse "Awyn".

Le ultime due erano simili in altezza, ma opposte negli altri aspetti: laddove una mostrava forme armoniose, l'altra rispondeva con fianchi larghi e seno procace; alla pelle esangue della prima, la seconda contrapponeva un incarnato che era imitazione della terra argillosa. La pallida disse "Vlada", la prosperosa rispose "Tenqar".

L'esercizio della parola si doveva ad altro dalla mera bellezza, prima e più evidente eredità di Mamath: il sangue, potente utero in cui erano sbocciate e che, una volta esaurito il suo scopo principale, aveva nutrito la terra e le loro vene, trasferendo nei quattro ricettacoli non soltanto l'esperienza maturata dall'ascendente, ma anche ciò che bevendo dal Raama Toi le aveva donato il linguaggio. Le figlie di Mamath con la pronuncia della prima parola avevano detto "io sono", e quello fu il nome con cui vennero ricordate, l'epiteto dei loro discendenti e la radice delle lingue del mondo.

Il sangue e le fattezze di Mamath erano sì effigi di ciò che le univa, ma presto le differenze si fecero più evidenti, più infide. Xish infatti prese l'abitudine di assentarsi sempre più spesso, sempre più a lungo, a volte percorrendo lunghe distanze nella natura selvaggia, altre volte rimanendo nei pressi, ben nascosta e pronta a usare sulle sue sorelle le astuzie imparate dai predatori. Altrettanto faceva Awyn, che però non prendeva la direzione dei boschi, ma raggiungeva la costa e lì trascorreva le giornate ascoltando le onde mentre esse la cullavano, salvo tornare dalle altre quando la luna era alta e Tlaotlican riprendeva il riposo. Le più stanziali erano invece Vlada e Tenqar, sebbene mosse da sentimenti e ragioni diverse: mentre la prima infatti se ne stava arrampicata in cima all'albero più alto, gelosa della sua solitudine e del senso di sicurezza che questa le dava, l'altra aveva imparato a sfruttare le risorse della terra per ricavare ciò di cui lei e le sue sorelle avevano bisogno, come ceste per la raccolta di cibo o armi votate alla caccia.

Diverse abitudini e ancor più diversi temperamenti forgiarono velocemente diversi pensieri, che a loro volta produssero diversi linguaggi. Nonostante ciò, il sangue comune trovò presto una via affinché si comprendessero. Così nacquero la gestualità e l'intonazione, e poco più tardi, quando un qualunque evento di spessore aveva bisogno di celebrazione, come una buona caccia o il sereno dopo una tempesta, anche la musica e la danza.

Un giorno che pioveva molto forte e nessuna di loro poteva quindi assecondare la propria natura, si erano raccolte tutte e quattro sotto un riparo che Tenqar aveva costruito con dei rami e delle pelli di animale. Una accanto all'altra, in silenzio ascoltavano il respiro della pioggia ritrarre la furia e poi soffiarla di colpo, quando all'improvviso due cervi sbucarono dal folto del bosco invadendo il rifugio. Le sorelle videro subito che erano molto diversi l'uno dall'altro, sia per stazza che per le corna, che soltanto il più grande portava, ma non diedero peso alla cosa finché i due animali non iniziarono la monta. Le sorelle, impietrite da una vista tanto sgraziata quanto affascinante, si turbarono ancora di più quando videro che anche i sessi dei cervi erano diversi. Fu allora che non soltanto scoprirono il maschio, ma che si accorsero che nessuna di loro lo era.

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