mercoledì 17 giugno 2020

La Semina -XXXVII-

Quando Indh la condusse sulla terraferma, lontano dall'isola della sua natalità, Mamath capì che il mondo era grande e nutrì il desiderio di percorrerlo. Quando sentì per la prima volta il canto degli uccelli, desiderò imparare a imitarlo per comunicare con loro. Quando nel suo percorso arrivò prima a una roccia, poi in un campo di fiori e infine all'ombra di un bosco, Mamath seppe che oltre quegli alberi ci sarebbe stato altro da vedere e continuò a camminare. Ma nella selva ella si perse, al punto da non accorgersi che ormai il sole era tramontato, dopo averlo visto solo per un momento tra le alte e fitte fronde, e che col buio era arrivato l'alito gelido della notte. Si addormentò affamata dietro un cespuglio, perché nelle tenebre non vide le bacche di cui era pieno, e dopo una notte senza sogni si risvegliò che il sole era già sorto. Passò allo stesso modo il secondo giorno, poi il terzo, finché all'incombere del quarto vespro si accovacciò sudata e debole dietro lo stesso cespuglio di bacche. Consumata più dalla sete che dalla fame, si accontentò di mangiarne qualcuna e il suo stomaco ebbe infine lamentosa requie, mentre i pensieri la annegarono in un tempo lontano da quella sera, calandola in un luogo assai diverso dalla carne.In preda alle nebbie della confusione, si alzò da terra per riprendere il cammino e quando fece per raccogliere qualche altra bacca da consumare durante il viaggio, impietrì alla scoperta di non trovarne alcuna, perché il cespuglio era invece affollato di stelle. Queste ricambiarono lo sguardo di Mamath e la loro luce si mosse di concerto alle sorelle che in alto sorreggevano la volta celeste, facendosi architravi di una notte cui il completo silenzio conferiva sinistra pesantezza. Mamath si accorse allora di non provare più fame, né sete, e lasciò che ciò che lei percepiva come corpo la guidasse verso una meta precisa, là dove brillanti gocce d'argento cadevano dal cielo a formare una pozzanghera di luce, dopo aver scavato solchi tra astro e astro come acqua tra le creste della volta rocciosa di una caverna. Nell'avvicinarsi a quella visione, Mamath non percepì il rumore dei propri passi e non se ne sorprese.Alla pozzanghera stava bevendo un lupo dal pelo ispido, magro come lei, che sentendosi osservato si volse e subito emise un ringhio basso. Mamath lo guardò negli occhi e venne da essi trapassata: non soltanto la sfida bruciava infida nelle pupille dell'animale, ma anche la luce dorata delle stelle più antiche, il colore dei cancelli che separavano i palazzi abbacinanti di Ik Ki da tutto ciò che è freddo e oscuro. Si avvicinò alla bestia incurante degli avvertimenti, senza desistere anche quando essi si erano fatti più frequenti, e il lupo ormai la fronteggiava apertamente, avendo perso interesse per la pozzanghera. Mamath si accovacciò per non doverlo guardare dall'alto e attese che le distanze si riducessero ancora; ma il lupo aveva tirato fuori i denti e assunto una posa ostile, pronto a saltarle al collo. Lei sentì in quel momento il richiamo di Szotlan, che tanto tempo prima aveva infettato il sangue dei viventi col demone della paura, ma lo cacciò indietro perché sentiva che anche il lupo ne era affetto. Con lentezza gentile si strinse un seno e lo avvicinò alla bocca del lupo, che dopo lungo attendere, confuso più da quel gesto che dalla pozzanghera di luce stellare in cui stava dissetandosi, si protese e lo dilaniò col secco serrarsi delle fauci aguzze. Mamath cadde a terra con le mani sul petto sanguinante, mentre la bestia la fissava masticando il pasto e irrorava di sangue il terreno su cui i denti sgocciolavano. Fu proprio l'animale ad avvicinarsi alla preda, annusandola là dove l'aveva colpita, senza mai sbattere le palpebre. Ancora una volta la meraviglia di quella luce dorata vinse la carne e il cuore di Mamath, che si protese ancora una volta verso l'aggressore, porgendogli l'altro seno. Il lupo considerò l'offerta, poi scoprì i denti e rapidamente come era sorta l'idea di morte, allo stesso modo si calmò. Il muso si attaccò alla mammella e in un attimo tornò il cucciolo che era stato, dissetandosi col latte della vita e del tempo e lasciando a esso il compito di scacciare la fame e la solitudine che avevano fatto pustola nel suo cuore.

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