mercoledì 15 aprile 2020

Sussurri della Mietitura -XVIII-

Attraverso il canto, Ulm'andher portò a Shintara la chiarezza di una visione calma, illuminando col racconto ogni cosa che lì dentro non era percepibile ai sensi, ma tramite i sensi alimentava lo sconforto. Allora la Vergine si lasciò blandire dal canto e camminò tra i miasmi come tra la brezza che dal mare soffia sul suo giardino, fendendo il buio verso il tenue bagliore che senza il canto non avrebbe notato. Più si avvicinava, più il bagliore prendeva forza e bandiva le tenebre tutte attorno: incastonato nella carne del Re pulsava un tendine di fuoco lungo e sottile, che scattava o si distendeva assecondando il movimento dell'enorme corpo cui apparteneva. Allora Shintara posò lo scudo a terra, perché aveva bisogno di tutta la sua forza, e avendo serrato la presa sul tendine cercò di strapparlo alla sua nicchia. L'urlo di Hieralw esplose là dov'era la Vergine e risalì il corpo per diffondersi infine nel mondo, eruttando dalla bocca cui il dolore aggiungeva ulteriore deformità.
A un passo dal venir sbalzata nell'abisso in cui sarebbe stata distrutta e digerita, Shintara strinse la presa sul tendine e vi rimase aggrappata, penzolando nel vuoto lamentoso, strozzata dai fumi putrescenti che i recenti pasti di Hieralw già esalavano. Guardò verso la luce ardente del tendine e quando realizzò di esserne osservata a sua volta, anzi fissata come solo un essere in totale controllo avrebbe potuto fare, capì di avere davanti lo Xenwa su cui il mostro che l'aveva ingoiata era stato eretto a furia di cannibalismo, l'origine debole e codarda del terrore che si apprestava a divorare ogni cosa in ogni dove. Strinse la presa su di esso e il fuoco rispose corrodendola, perché come il resto del cosmo era sensibile al primo seme che Zatamana aveva piantato: la paura. Lottarono con ferocia, l'uno per la sopravvivenza e l'altra per il potere, mentre l'enorme corpo di Hieralw pareva esserne vittima innocente e coi suoi spasmi frantumava la terra, scavava crateri e dappertutto diffondeva il suo orrendo lamento, che incrinò la vetta adamantina delle montagne nere, terrorizzando le mute stelle. La battaglia però giunse a stallo quando il tendine capì che Shintara non avrebbe mai allentato la morsa e lei realizzò che non lo avrebbe mai estirpato dalla carne; ma la Vergine trovava gratificazione nella lotta, feroce appagamento della missione che aveva scelto per sé e per il mondo, mentre Hieralw perdeva interesse per qualunque cosa non ne soddisfacesse gli appetiti, placati solo temporaneamente e comunque sempre al riparo di un nascondiglio nella terra. Così, mentre la prima cavava caparbietà dalla stanchezza, l'altro veniva frustrato dall'attesa di avere la meglio su un pasto che si ostinava a restare integro, anziché scomposto a nutrimento del Re. Fu così che il tendine si fece vulnerabile alla figlia di Tlaotlican, che lo strangolò impietosa e anzi gaudente nella tortura, per questo protratta più a lungo del necessario nonostante il fuoco stesse continuando a ferirla.
La fine arrivò in fretta e all'immobilità del tendine seguì quella dell'enorme corpo che aveva ospitato la battaglia. Shintara ebbe finalmente modo di sradicare lo Xenwa e di guardarlo meglio: non era molto più lungo di lei e le fiamme originate dall'alito di X'En erano ancora vive, tanto che lei lo usò per farsi largo nell'oscurità, dove recuperò Gargalos e la strada per il ritorno. Durante il tragitto, grazie alla luce di Hieralw riuscì ad apprezzare l'architettura dell'essere che l'aveva inghiottita e capì, con un'ombra greve sul volto non più in estasi da battaglia, di aver combattuto contro uno stomaco che cercava solo di nutrirsi, perché ammalato di una fame eterna.

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