mercoledì 11 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXIII-

Un'ombra si allungò su Shintara e le disse di non preoccuparsi, ché era lì per aiutarla; ma la Vergine non era abile al linguaggio e rispose con l'atto di rimettersi in piedi, così da fronteggiare la presenza. A quel punto però non vide nessuno, né percepì il velo gelido che l'incombere di quella voce aveva annunciato. Attorno a sé ogni suono si fece ovattato, come se gli spettri della vita precedente alla Caduta l'avessero circondata per sussurrarle la storia di come si erano spenti. Shintara provò a concentrarsi su ciascuno di essi, ma per quanto si sforzasse di ascoltare il racconto dell'albero che era bruciato, del Nér che era morto cantando, della creatura che aveva cercato inutilmente di mettere al sicuro la sua prole dalla pioggia di luce, la sua mente seguiva il flusso di una voce più piccola. Questa era l'ago e Shintara il filo. Quando insieme ricucirono il vortice intorno, l'ombra che poco prima sembrava essere sparita fu ricomposta. Essa però percepì la diffidenza della figlia di Tlaotlican nei confronti di qualcosa che poteva sentire, ma non vedere, e assunse le sole sembianze con cui sarebbe stata accettata: quelle della stessa Shintara.
La Vergine non si riconobbe nelle fattezze che la presenza aveva riprodotto, ma ne rimase affascinata e ancor di più quando per riflesso una copiava i movimenti dell'altra. Ottenuta una primitiva fiducia, la presenza ribadì a Shintara il desiderio di rovesciare i Triarchi Xenwa, così da pulire il volto di Ama Nundra Mun dalla cenere e permettere all'Abbraccio di rifiorire. Parlò usando una lingua che la Vergine non aveva mai ascoltato, ma che stranamente riusciva a comprendere, suonandole familiare come quella del padre Tlaotlican, melodica nella costruzione e incalzante nel ritmo, eppure cupa nel tono e distante nell'eco. Per far breccia nelle ultime reticenze di Shintara, l'essere disse di avere in comune con lei non solo il desiderio di vedere Ama Nundra Mun finalmente guarita, ma anche qualcosa di più intimo: il nome. Rivelò dunque Ulm'andher, "da dentro", e allora Shintara capì perché in un primo momento l'aveva ascoltato senza tuttavia vederlo.
Ulm'andher blandì la foga della Vergine nel voler tornare subito all'assalto degli Xenwa e le consigliò di fermarsi, ché molte creature che lui aveva osservato prima della Caduta, quando sembravano volersi ritirare da uno scontro, in realtà prendevano la rincorsa per tornare a colpire più forte. Shintara capì, perché Tlaotlican l'aveva istruita bene, e insieme tornarono là dove lei era sorta dalle acque. Shintara allora si fermò impietrita davanti alla fioritura della propria Ascesa, perché guardando la terra che ricordava aspra e morta, non diversa dalla sterminata landa secca che il mondo era diventato, ora la vedeva soffocata dal verde e dalla bellezza, restandone lei stessa intossicata. C'erano alberi coi rami che si annodavano verso l'alto, a formare cuspidi affusolate di un verde intenso; fiori di ogni grandezza e colore affollavano il manto erboso cresciuto dalla roccia; bacche blu e viola crescevano insieme su un piccolo cespuglio schiacciato tra le immense radici di un tronco curvo, piegato dal peso dei suoi stessi frutti. Ulm'andher lo chiamò "il Letto della Vergine" e disse a Shintara che sarebbe stato un rifugio, una fonte di potere e nutrimento, ma soprattutto un'esca per gli Xenwa, che mal sopportano tutto ciò che ancora non è stato toccato dalla fiamma.

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