mercoledì 4 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXII-

L'Ascesa portò Shintara dove un gruppo di Xenwa si era assembrato, formando un emiciclo attorno a qualcosa che attirava la loro attenzione. Li attaccò alle spalle e li massacrò uno ad uno, aprendo i corpi da cui il Nuharon schizzò furioso tutto attorno. Quando la Vergine fu soddisfatta della mattanza, l'oggetto della curiosità delle sue vittime fu presto rivelato: a terra languiva esanime una creatura che lei, per l'istruzione ricevuta da Tlaotlican, sapeva essere un dràna. Guardandolo vi riconobbe la sconfitta e senza indugiare passò oltre, lasciandolo alla sua miseria. Attraversò le sabbie della Caduta, dove la pestilenza di fuoco era nata, e seguì la scia di cenere fino a quando non incontrò altri Xenwa. Questi compresero la natura di Shintara guardandola da lontano, perché il ritmo del suo passo emanava ostilità tanto quanto Ahn era foriero di mutamento, Ama Nundra Mun di pace e Zatamana di caos. I primi tra loro attaccarono con fierezza, i secondi si difesero, gli ultimi fuggirono. Seguendo la ritirata, Shintara giunse al cospetto delle più alte vette della terra: là dove l'orizzonte si incupiva, zanne rocciose dai corpi immensi si alzavano a perforare il cielo. Ai piedi di questi titani immobili erano già schierate legioni di orrori e tormenti, ognuno di essi chiusi nella disciplina del silenzio e immuni al peso di quel momento. Non vi fu indugio nella marcia di Shintara, perché alla furia si stava sommando la curiosità di scoprire con cosa avesse a che fare, cosa fossero quelle schiere dietro cui gli Xenwa si stavano rintanando. Avvicinandosi vide la luce appassire attorno a ciascuna di quelle presenze, abissi di tenebra in cui un'anima rossastra palpitava irrequieta, come una ferita che fatica a rimarginarsi. La Vergine fissò quegli esseri e poi le montagne alle loro spalle, non riuscendo a capire quale dei due fosse la sorgente dell'oscurità dell'altro. Nell'attimo in cui una risposta si fece largo tra i suoi pensieri, lo spazio tra le due rocce più alte partorì un cono di luce abbacinante e sul campo di battaglia fu fatto il giorno. Torreggiando sulle montagne nere, Rasseth spiegò le sei ali da un capo all'altro dell'orizzonte, toccando la terra e il cielo, spandendo per l'aria la vampa del suo nome.
La sua apparizione riattizzò l'anima incandescente degli Xenwa, che fecero capolino da dietro le fosce schiere per incitare all'attacco la Vergine. Lei però guardava gli esseri di tenebra che sbarravano l'accesso alle montagne, perché nonostante la luce sparsa da Rasseth essi apparivano ancora come neri vuoti, e l'interrogarsi sulla loro natura la turbò più dell'arrivo del Triarca degli Xenwa.
Nell'attimo in cui la sua esitazione fu palese, Rasseth scosse le ali in un movimento appena percettibile, come a scrollarsi di dosso una presenza molesta, e in un attimo l'intrusa fu spazzata via e portata lontano, a mo' di foglia morta. Quando il vento finalmente esaurì la propria forza, Shintara si ritrovò nelle sabbie della Caduta, a metà strada tra la sua missione e il posto da cui era venuta, e l'equilibrio di questa casualità le impose una riflessione su quanto le sarebbe costato riprovarci, o ritirarsi. Decise tuttavia di restare a terra, specie perché le ferite invisibili da cui era dilaniata la privavano delle forze necessarie a rimettersi in piedi. Tanto era spezzato il suo spirito che nel momento in cui da lontano sentì il mare chiamarla, non rispose.

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