mercoledì 25 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXV-

A ogni passo del re grigio, Shintara nutrì la sensazione che la terra sotto di sé fosse sul punto di aprirsi per inghiottirla. I gemiti di Ama Nundra Mun si tradussero nel suono del terreno secco che si frattura, e il campo di battaglia si divise in frammenti solcati da fiumi di abisso sconfinato. Piogge di membra sconfitte liberarono il campo di battaglia dalle loro tristi presenze per precipitare nell'oscurità, mentre il conflitto scivolava via dall'aria greve per lasciare il trono ai passi tonanti. Quando tutto tacque, la Vergine non vide più gli Xenwa, nè il deserto della Caduta e l'orizzonte della guerra, e alzando la testa non vide nemmeno il cielo coi suoi vuoti e le sue stelle. Tutto questo giaceva alle spalle dell'immenso corpo di Gargalos.
Il re grigio fissò il Letto della Vergine e in un attimo le fiamme che ne consumavano il verde si estinsero, come obbedendo a silente comando. Infine il suo sguardo scese su Shintara e lei lo sostenne, serrando i muscoli violenti e preparandosi a porre fine alla lotta e finanche alla propria esistenza, non per coraggio o per sfida, ma per rendere chiaro che non gli avrebbe permesso di invadere l'ultimo angolo di Abbraccio rimasto sulla terra. Fu allora che il sussurro di un canto familiare esalò dai recessi del loro pensiero e li avvertì di placarsi, ché non aveva propiziato quell'incontro per assistere ad altra morte. Tramite la voce che sgorgava dal loro interno, Shintara e Gargalos finalmente si conobbero: il re grigio seppe di avere davanti colei che Tlaotlican non smette mai di chiamare "figlia", quando le onde si abbattono malinconiche sulla roccia; la Vergine fu istruita sulla storia di Gargalos, unico della sua schiatta ad aver mostrato compassione per ciò che il suo creatore voleva distruggere. Dal canto appresero che la loro carne veniva da Lhé e che per vie diverse si erano ricongiunti nella singolarità della purificazione dal fuoco. Oltre a questo, la cosa che più di tutte li univa era il desiderio di proteggere il giardino e di estenderne la bellezza all'intero volto di Ama Nundra Mun, guarendo la tetra cicatrice di sabbia e cenere che la Caduta le aveva inferto.
Entrarono dunque in comunione, i due grandi avversari, e nell'attimo in cui i loro sentimenti si toccarono risalì il canto che li aveva fatti incontrare. Esso cantò che se Gargalos si fosse votato per sempre al servizio di Shintara, avrebbe ricevuto in dono il potere di serrare l'Abbraccio. Senza attendere oltre, il re grigio acconsentì.
Eruppe allora dal buio cosmo la voce di tutti gli Eterni, della terra e del mare, del cosmo stesso. Il fruscio tra le fronde del Letto di Shintara venne richiamato a dare corpo al Suono, da lontano arrivò l'ululato del vento tra i monti neri di Rasseth e ogni cosa compose il timbro plasmatore della Materia. Tra Gargalos e Shintara, al loro fianco, sopra e sotto risuonò la lingua dei creatori e disse che per sugellare quel desiderio, come aveva già fatto in passato, era necessario che la Vergine imparasse una parola.

mercoledì 18 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXIV-

Quando l'orizzonte della Caduta si bagnò della luce rossa degli Xenwa, attratti dalla bestemmia che il Letto della Vergine con la sua sola esistenza rappresentava, Ulm'andher cantò a Shintara di raccogliere la sua furia, ché le prede stavano per arrivare. Poi sparì e l'eco delle sue parole si trattenne ancora sull'aria, come una cappa d'umidità.
Davanti alla Vergine sorse dunque l'alba della guerra, come Ulm'andher aveva predetto. La prole di X'En marciò divisa attraverso le lande della Caduta, non facendosi distrarre da altro se non dai ciuffi di verde e dall'odore di frutti maturi. Fu così che vennero schiacciati: Shintara li massacrò senza quasi trovare resistenza, disintegrando la loro carne con lucida furia e spargendone il Nuharon sulle sabbie. La Vergine si mosse metodica attraverso la torma disordinata e la rese meno folta, frenandone l'avanzata al costo di immensa fatica e quindi ricorrendo sempre più spesso a indicibili nefandezze. Nella morte, gli Xenwa rimpiansero di non essere riusciti a completare l'opera per cui la Fiamma Immortale li aveva generati, ma un attimo prima di ricevere la rabbia di Shintara, cui alcuni si opposero mentre tutti gli altri si consegnarono, fu levata la preghiera ai loro Re, per ricevere il perdono e la promessa di rappresaglia.
Più Xenwa venivano abbattuti, più l'orizzonte ne produceva. Shintara, che già era allo stremo delle forze, al vederli arrivare non solo pensò che non avrebbe mai superato l'apice della battaglia, ma si rese conto che per continuare a combattere sarebbe stata costretta a muoversi su un tappeto di corpi senza vita. Richiamò allora i racconti di Tlaotlican, per darsi forza, e ciò le bastò per qualche tempo, finché gli Xenwa non si accorsero della sua postura incerta, della prevedibilità dei suoi movimenti, della difesa fiacca ai loro contrattacchi. Pur continuando a morire uno dopo l'altro, riuscirono a farla arretrare fino quasi ai limiti del Letto della Vergine, dove più volte la costrinsero in ginocchio eppure senza mai riuscire a sopraffarla. Si difese come poteva, con ciò che poteva, ma le forze la lasciarono in balia dei suoi aggressori, mentre alcuni di loro ne approfittavano per estirpare palmizi e diffondere incendi nel giardino. Per la seconda volta Tlaotlican offrì il proprio aiuto, ma per la seconda volta lei lo rifiutò; non voleva che le onde travolgessero il Letto più di quanto gli Xenwa non stessero già facendo. Allora, maciullata ed esanime, la Vergine si aggrappò agli invasori non per combatterli, ma per impedir loro di avanzare, senza accorgersi che alcuni si erano già fermati rivolgendosi immobili all'orizzonte da cui erano venuti. Prima di vederlo, Shintara lo sentì: rombi lontani partorivano forze che guizzavano veloci sul terreno, propagandosi in ogni direzione. Gli alberi ancora integri ne vennero scossi, quelli avvolti dalle fiamme a ogni vibrazione si piegavano un po' di più, fino a crollare sulle loro stesse radici.
I figli di X'En, gli Xenwa portatori della Caduta, arrestarono la loro opera per porgere il loro saluto a colui che dall'orizzonte incedeva lento attraverso il deserto. Gargalos, che tanto aveva ferito la Culla tra i Vuoti e altrettanto l'aveva guarita, mosse la terra coi tuoni prodotti dall'avanzata sul campo di battaglia. Shintara raccolse ciò che restava di se stessa e si alzò per fronteggiare il più forte tra i suoi nemici, guardandolo avvicinarsi minaccioso e sopportandone l'ombra, pesante almeno quanto il corpo.

mercoledì 11 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXIII-

Un'ombra si allungò su Shintara e le disse di non preoccuparsi, ché era lì per aiutarla; ma la Vergine non era abile al linguaggio e rispose con l'atto di rimettersi in piedi, così da fronteggiare la presenza. A quel punto però non vide nessuno, né percepì il velo gelido che l'incombere di quella voce aveva annunciato. Attorno a sé ogni suono si fece ovattato, come se gli spettri della vita precedente alla Caduta l'avessero circondata per sussurrarle la storia di come si erano spenti. Shintara provò a concentrarsi su ciascuno di essi, ma per quanto si sforzasse di ascoltare il racconto dell'albero che era bruciato, del Nér che era morto cantando, della creatura che aveva cercato inutilmente di mettere al sicuro la sua prole dalla pioggia di luce, la sua mente seguiva il flusso di una voce più piccola. Questa era l'ago e Shintara il filo. Quando insieme ricucirono il vortice intorno, l'ombra che poco prima sembrava essere sparita fu ricomposta. Essa però percepì la diffidenza della figlia di Tlaotlican nei confronti di qualcosa che poteva sentire, ma non vedere, e assunse le sole sembianze con cui sarebbe stata accettata: quelle della stessa Shintara.
La Vergine non si riconobbe nelle fattezze che la presenza aveva riprodotto, ma ne rimase affascinata e ancor di più quando per riflesso una copiava i movimenti dell'altra. Ottenuta una primitiva fiducia, la presenza ribadì a Shintara il desiderio di rovesciare i Triarchi Xenwa, così da pulire il volto di Ama Nundra Mun dalla cenere e permettere all'Abbraccio di rifiorire. Parlò usando una lingua che la Vergine non aveva mai ascoltato, ma che stranamente riusciva a comprendere, suonandole familiare come quella del padre Tlaotlican, melodica nella costruzione e incalzante nel ritmo, eppure cupa nel tono e distante nell'eco. Per far breccia nelle ultime reticenze di Shintara, l'essere disse di avere in comune con lei non solo il desiderio di vedere Ama Nundra Mun finalmente guarita, ma anche qualcosa di più intimo: il nome. Rivelò dunque Ulm'andher, "da dentro", e allora Shintara capì perché in un primo momento l'aveva ascoltato senza tuttavia vederlo.
Ulm'andher blandì la foga della Vergine nel voler tornare subito all'assalto degli Xenwa e le consigliò di fermarsi, ché molte creature che lui aveva osservato prima della Caduta, quando sembravano volersi ritirare da uno scontro, in realtà prendevano la rincorsa per tornare a colpire più forte. Shintara capì, perché Tlaotlican l'aveva istruita bene, e insieme tornarono là dove lei era sorta dalle acque. Shintara allora si fermò impietrita davanti alla fioritura della propria Ascesa, perché guardando la terra che ricordava aspra e morta, non diversa dalla sterminata landa secca che il mondo era diventato, ora la vedeva soffocata dal verde e dalla bellezza, restandone lei stessa intossicata. C'erano alberi coi rami che si annodavano verso l'alto, a formare cuspidi affusolate di un verde intenso; fiori di ogni grandezza e colore affollavano il manto erboso cresciuto dalla roccia; bacche blu e viola crescevano insieme su un piccolo cespuglio schiacciato tra le immense radici di un tronco curvo, piegato dal peso dei suoi stessi frutti. Ulm'andher lo chiamò "il Letto della Vergine" e disse a Shintara che sarebbe stato un rifugio, una fonte di potere e nutrimento, ma soprattutto un'esca per gli Xenwa, che mal sopportano tutto ciò che ancora non è stato toccato dalla fiamma.

mercoledì 4 marzo 2020

Sussurri della Mietitura -XXII-

L'Ascesa portò Shintara dove un gruppo di Xenwa si era assembrato, formando un emiciclo attorno a qualcosa che attirava la loro attenzione. Li attaccò alle spalle e li massacrò uno ad uno, aprendo i corpi da cui il Nuharon schizzò furioso tutto attorno. Quando la Vergine fu soddisfatta della mattanza, l'oggetto della curiosità delle sue vittime fu presto rivelato: a terra languiva esanime una creatura che lei, per l'istruzione ricevuta da Tlaotlican, sapeva essere un dràna. Guardandolo vi riconobbe la sconfitta e senza indugiare passò oltre, lasciandolo alla sua miseria. Attraversò le sabbie della Caduta, dove la pestilenza di fuoco era nata, e seguì la scia di cenere fino a quando non incontrò altri Xenwa. Questi compresero la natura di Shintara guardandola da lontano, perché il ritmo del suo passo emanava ostilità tanto quanto Ahn era foriero di mutamento, Ama Nundra Mun di pace e Zatamana di caos. I primi tra loro attaccarono con fierezza, i secondi si difesero, gli ultimi fuggirono. Seguendo la ritirata, Shintara giunse al cospetto delle più alte vette della terra: là dove l'orizzonte si incupiva, zanne rocciose dai corpi immensi si alzavano a perforare il cielo. Ai piedi di questi titani immobili erano già schierate legioni di orrori e tormenti, ognuno di essi chiusi nella disciplina del silenzio e immuni al peso di quel momento. Non vi fu indugio nella marcia di Shintara, perché alla furia si stava sommando la curiosità di scoprire con cosa avesse a che fare, cosa fossero quelle schiere dietro cui gli Xenwa si stavano rintanando. Avvicinandosi vide la luce appassire attorno a ciascuna di quelle presenze, abissi di tenebra in cui un'anima rossastra palpitava irrequieta, come una ferita che fatica a rimarginarsi. La Vergine fissò quegli esseri e poi le montagne alle loro spalle, non riuscendo a capire quale dei due fosse la sorgente dell'oscurità dell'altro. Nell'attimo in cui una risposta si fece largo tra i suoi pensieri, lo spazio tra le due rocce più alte partorì un cono di luce abbacinante e sul campo di battaglia fu fatto il giorno. Torreggiando sulle montagne nere, Rasseth spiegò le sei ali da un capo all'altro dell'orizzonte, toccando la terra e il cielo, spandendo per l'aria la vampa del suo nome.
La sua apparizione riattizzò l'anima incandescente degli Xenwa, che fecero capolino da dietro le fosce schiere per incitare all'attacco la Vergine. Lei però guardava gli esseri di tenebra che sbarravano l'accesso alle montagne, perché nonostante la luce sparsa da Rasseth essi apparivano ancora come neri vuoti, e l'interrogarsi sulla loro natura la turbò più dell'arrivo del Triarca degli Xenwa.
Nell'attimo in cui la sua esitazione fu palese, Rasseth scosse le ali in un movimento appena percettibile, come a scrollarsi di dosso una presenza molesta, e in un attimo l'intrusa fu spazzata via e portata lontano, a mo' di foglia morta. Quando il vento finalmente esaurì la propria forza, Shintara si ritrovò nelle sabbie della Caduta, a metà strada tra la sua missione e il posto da cui era venuta, e l'equilibrio di questa casualità le impose una riflessione su quanto le sarebbe costato riprovarci, o ritirarsi. Decise tuttavia di restare a terra, specie perché le ferite invisibili da cui era dilaniata la privavano delle forze necessarie a rimettersi in piedi. Tanto era spezzato il suo spirito che nel momento in cui da lontano sentì il mare chiamarla, non rispose.